sabato 8 ottobre 2011
Domani il Papa in Calabria
Domani il Papa in Calabria. Il vescovo di Lamezia e il priore della Certosa di Serra San Bruno: un messaggio di speranza per questa terra
Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno: cammina!”. Questo il motto scelto per la visita pastorale che il Papa compirà domani a Lamezia Terme e Serra San Bruno. L'intera Calabria attende con trepidazione l'arrivo del Pontefice, previsto per le 9.15 all'aeroporto internazionale di Lamezia. Poi il trasferimento nella periferia della città, dove verrà celebrata la Santa Messa. Nel pomeriggio, Benedetto XVI sarà a Serra San Bruno: dopo il saluto alla popolazione locale, la visita alla Certosa per la celebrazione dei Vespri con i monaci. Sul clima di attesa, il servizio della nostra inviata in Calabria, Emanuela Campanile:
Preparativi febbrili, emozione e speranza. E' così che Lamezia Terme - ma sarebbe meglio dire, la Calabria tutta - sta vivendo l'arrivo di Benedetto XVI. Bandiere dello Stato Pontificio un po' ovunque, sui balconi, nei crocicchi, lungo il percorso che il Papa seguirà dall'aeroporto alla periferia industriale della città. Ed è proprio qui, in questa vasta area - prevedono accoglierà più di 100 mila persone - che è stato allestito il palco per la celebrazione della Santa Messa: 46 metri su cui è stato posizionato, in un angolo, un grande secolare ulivo. Oggi poi, sulla copertura del palco verrà issata una croce in metallo di 18 metri ispirata alla croce molto più antica del monastero di Sant'Elia di Cortale. Ma l'attesa coinvolge anche Serra San Bruno dove il Papa si recherà nel pomeriggio per pregare insieme ai monaci della Certosa. Si tratta di un evento storico, di una esperienza unica soprattutto per i giovani, veri destinatari del messaggio di fede e speranza che Benedetto XVI porterà in questa terra afflitta da mali storici ma mai privata della sua profonda spiritualità. Ecco perchè la Calabria, come ricordato dall'arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, mons. Vittorio Mondello, è pronta ad accogliere il Successore di Pietro come roccia sicura da cui far ripartire la speranza.
Benedetto XVI sarà il primo Papa dopo 890 anni a compiere una visita pastorale a Lamezia Terme. Prima di lui venne in questi luoghi Calisto II: era il 1121. In vista di questo evento il vescovo di Lamezia, mons. Luigi Antonio Cantafora, ha scritto varie lettere: una di queste è stata indirizzata ai bambini e ai giovani invitandoli a non essere solo spettatori ma protagonisti di questa visita. Ascoltiamo mons. Cantafora al microfono di Emanuela Campanile:
R. - Sì, certamente, la visita del Papa per noi è una grazia e la reputiamo non soltanto un momento di predilezione da parte del Signore, ma anche e soprattutto da parte del Santo Padre. Questo evento ha messo in moto tante cose nella nostra diocesi, tra cui anche i bambini e i giovani, rendendoli realmente partecipi attraverso dei concorsi, delle gare, in modo che la visita del Santo Padre è diventata, per questi stessi ragazzi, un argomento di riflessione. Hanno prodotto anche dei lavori che dicono la grande sensibilità, il grande amore che questa categoria di persone ha per il Santo Padre.
D. - L’obiettivo della diocesi è, allora, la formazione dei laici, a partire dai più piccoli?
R. - Soprattutto a partire dai più piccoli! Grazie anche all’Enciclica Deus Caritas est. Certamente è un testo difficile, però lo abbiamo “sminuzzato” attraverso dei dvd e i ragazzi hanno potuto cogliere – a modo loro, nella loro misura, come hanno potuto e saputo – quelle che sono le linee fondamentali del magistero di Benedetto XVI.
D. - Nella lettera ai giovani, in particolare, Lei fa riferimento al loro amore per la vostra terra, bellissima ma anche difficile. La Chiesa, allora, quale segno deve essere in una realtà come quella specifica di Lamezia Terme?
R. - La Chiesa, a mio avviso, deve organizzare questo amore che hanno i nostri giovani per la nostra terra, dando ai giovani la certezza di essere accanto a loro, perché restando in questa terra possano farla germogliare. Speriamo che la visita del Santo Padre diventi realmente una primavera, quella primavera che questi giovani attendono, affinché possano rimanere in questa terra. Perché essere sradicati da questa terra è sempre uno strappo. Noi vediamo che quando questi giovani ritornano, tornano anche con il desiderio di restare, ma il lavoro che manca tante volte crea un ostacolo.
D. - Che valore ha l’appartenere alla Calabria?
R. - Appartenere alla Calabria significa innanzitutto conservare quel patrimonio che c’è nella nostra terra: il patrimonio della famiglia, il patrimonio della speranza, il patrimonio della solidarietà che spesso e volentieri qui si vede con molta facilità ed ha molta visibilità. Ma anche la speranza che, attraverso l’impegno, possa essere messa da parte l’illegalità e la mafiosità che tante volte impera in certi ambienti. Io credo che in Calabria debba avvenire quello che avviene nel Vangelo di Marco: Gesù viene presentato come un grande “miles”, un grande soldato, un grande lottatore che, man mano che avanza, spazza via la negatività. Così, più noi stiamo con speranza dentro la nostra terra, più tutta la negatività lentamente va via.
D. - Dal punto di vista della tradizione cattolica, la Calabria ha molto da insegnare. E questo è uno dei tesori della vostra terra.
R. - La nostra terra è una terra di Santi, una terra di uomini che sono stati accanto al popolo, per cui la nostra terra certamente ha dei valori, delle risorse che, se noi le riprendiamo in mano – e credo che il Santo Padre ci indirizzerà su questa strada – se noi riprendiamo queste tradizioni come la famiglia, la pietà popolare, l’accoglienza, vediamo che sono tutti valori che fanno parte del patrimonio stesso della nostra terra. Lamezia ha 80mila abitanti; un quarto sono stranieri integrati da due generazioni, ormai ci sono i nipoti dei primi venuti in questa terra e vivono con i nostri figli con tanta disinvoltura. Frequentano gli stessi banchi di scuola, gli stessi luoghi, gli stessi spazi ricreativi, anche se ognuno poi vive la sua identità, anche religiosa.
Il Papa arriverà, dunque, a Serra San Bruno, nel pomeriggio di domani, dopo aver passato la mattina a Lamezia Terme. Ad accoglierlo, tra gli altri, sarà anche il priore della Certosa di Serra San Bruno, padre Jacques Dupont. Hélène Destombes lo ha intervistato:
(musica)
R. - Que le Pape pense à la Calabre, que le Pape vient ici…
Il fatto che il Papa pensi alla Calabria, che il Papa venga qui - nel cuore di un contesto molto, molto difficile dove i giovani non trovano lavoro e decidono di andare via perché questa regione ha un futuro molto incerto - spero che riesca ad aprire gli occhi e invitare tutti coloro che hanno delle responsabilità a prendere delle decisioni, ad attuare delle misure che possano dare un futuro a questa regione e, quindi, anzitutto ai giovani.
D. - Lei accoglierà Benedetto XVI a Serra San Bruno; lei sarà al suo fianco nella celebrazioni dei Vespri, domenica sera: che si attende da questa visita?
R. - Nous nous sommes surtout très, très reconnaissants…
Noi siamo, soprattutto, molto, molto riconoscenti, perché è il Papa che è voluto venire da noi: non mi sarei mai permesso di sperare questo … Quindi molto, molto riconoscenti a Dio per averci dato questa grazia, per averci fatto questo regalo immenso; molto riconoscenti al Santo Padre che sia riuscito, nella sua agenda di impegni così intensa, a trovare due ore per vivere e stare con noi, anzitutto per pregare con noi. Noi speriamo ci dia un incoraggiamento a restare fedeli alla nostra vocazione. Il Papa è fortemente legato alla spiritualità monastica e confido che ci confermerà e ci incoraggerà a essere sempre più figli di San Bruno.
D. - Come si svolge la vita a Serra San Bruno e che legame avete con la popolazione della Regione?
R. - Il ya un lien surtout spirituel…
C’è anzitutto un legame spirituale: noi siamo un ordine contemplativo e viviamo in clausura. Questo vuol dire che a Serra San Bruno si vive una situazione particolare, proprio perché questo piccolo paese è nato accanto alla Certosa, anzi è nato dalla Certosa. Posso dire che la gente è molto, molto legata a noi; fa parte della loro stessa identità di vivere accanto alla Certosa. Ci rispettano, rispettano la nostra solitudine: noi siamo molto riconoscenti per il loro aiuto e crediamo che trovino in noi un punto di riferimento spirituale, un sostegno perché la vita qui, in Calabria, non è certo facile. Penso al mondo del lavoro, alla mafia … e credo che il fatto di sapere che i certosini sono presenti con la loro preghiera, dia loro certamente conforto e incoraggiamento.
D. - In cosa, dunque, la vostra presenza può costituire un segno di speranza per questa terra?
R. - Je crois que c’est une réponse que l’on peut donner dans la foi…
Credo che questa sia una risposta da ricercare nella fede: la nostra vita è una vita consacrata alla preghiera. Noi siamo qui per dire che c’è un Dio, un Dio che è al di sopra di tutti gli avvenimenti della terra, ma che è anche molto, molto vicino a noi… Questo è quello che San Bruno ci insegna, perché San Bruno è un uomo totalmente preso da Dio, è un uomo che ha scelto la solitudine per avere Dio solo; ma allo stesso tempo, risponde con la bontà ed è molto vicino alla gente spiritualmente e direi anche col cuore … E’ quello che credo la Certosa, insieme a San Bruno, è chiamata a vivere: essere totalmente consacrati ad una vita contemplativa nel Signore, ma - attraverso la preghiera e attraverso la nostra relazione con il Signore - essere con le persone, quelle vicine e quelle meno vicine, perché noi preghiamo per tutti gli uomini.
D. - Nella visita a Serra San Bruno, nel 1984, Giovanni Paolo II vi aveva invitato a continuare a mostrare al mondo il vostro stile di vita, uno stile di vita che, nel mondo d’oggi – aveva detto - è una “provocazione”…
R. - Ce qu'il nous a dit reste très, très présent…
Quello che ci ha detto Giovanni Paolo II resta molto, molto attuale. E’ un messaggio che ci aiuta a vivere qui. La nostra è una provocazione molto forte, in particolare provoca i giovani a darsi una risposta. La nostra vita è certamente paradossale, a livello umano appare inutile: che cosa facciamo qui, visto che ci sono tanti problemi da affrontare e risolvere concretamente? I giovani sono chiamati a rispondere: non possono certo restare indifferenti davanti alla nostra scelta di vita. Molti non capiscono e non ci comprendono e si domandano cosa realmente facciamo dietro queste mura; ma molti si fermano, riflettono. Devo dire che quando si avvicinano un poco più a noi, attraverso i libri o attraverso qualche incontro, penso che scoprano che noi non siamo poi così lontano dal mondo… al contrario, siamo nel cuore del mondo! (mg)
http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/articolo.asp?c=527182
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